Intervista con l’autore del libro “Una terra vestita di Rosa”

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di Rossana Novielli

Incontriamo in esclusiva il Dr. Giuseppe Baldassarre che ci condurrà alla riscoperta dei rosati di Puglia parlando del suo ultimo libro, in uscita il prossimo 7 aprile al Vinitaly 2014.

L’occasione è quella della prossima uscita del suo ultimo capolavoro, “Una terra vestita di rosa, viaggio alla scoperta dei rosati di Puglia”, la cui presentazione è prevista in conferenza stampa per il prossimo 7 aprile alle ore 14,30 presso il Padiglione Puglia del Vinitaly a Verona.
Uomo poliedrico e carismatico, Giuseppe Baldassarre, già autore di numerosi volumi sull’enogastronomia regionale, si concede ai nostri microfoni per raccontarci di questa nuova e sorprendente ricerca intorno al mondo dei rosati di Puglia tra tradizione e produzioni attuali, senza dimenticare aspetti legati alla cultura popolare e alla gastronomia locale.

Dopo un lungo lavoro di ricerca e approfondimento sul primitivo, cosa l’ha spinto a scrivere un libro sui rosati di Puglia?

Il libro è da considerarsi un racconto della Puglia, dal punto di vista chiaramente dei vitigni e del vino e più in generale dell’enogastronomia, preferendo ciò che è stato raccontato di meno, messo in disparte e sottovalutato, che nella nostra Regione è tanto. Sono partito dal primitivo nel 2003, in un momento in cui esso era considerato poco, il Gioia del Colle era praticamente inesistente e il potenziale della zona non era stato compreso, mentre Manduria, nonostante fosse decisamente più avanti, presentava innegabili difficoltà.
Nel frattempo in questi dieci anni il primitivo è passato, per così dire, in “pole position” e mi è sembrato che ci fosse da sposare un’altra causa. Un tema fortemente connaturato allo spirito, alla natura e alla cultura della Puglia è proprio quello dei rosati. E poi si avverte nell’aria che stanno maturando i tempi di una riscossa decisiva, da non considerarsi legata ad una moda passeggera ma ad un ritorno a ciò che la Puglia è sempre stata, una terra di rosati, forse la terra più splendida per l’espressione di questa tipologia di vino nelle sue multiformi espressioni.

Quali sono gli obiettivi che si è prefisso e quali si augura possano essere le aspettative rispetto all’argomento trattato?

La scelta di puntare sui rosati può cogliere i suoi obiettivi se fatta in maniera corale, ovvero se lé condivisa da produttori, ristoratori, sommelier, giornalisti e rappresentanti delle istituzioni. In questo senso, l’idea di organizzare in Puglia il concorso nazionale dei rosati è stato un primo segnale importante di questa scelta, ma occorre essere conseguenti e portare tale scelta ad ulteriori sviluppi. In concreto, mi aspetto che i pugliesi diventino dei rosatisti eccellenti e il mio impegno è quello di far diventare i sommelier di Puglia i maggiori esperti e ambasciatori dei rosati della loro nostra regione a livello mondiale. Questa pubblicazione vuole essere intanto un tentativo di raccogliere le idee, di fare il punto della situazione, anche perché finora mancava un lavoro di riferimento in questo campo. Non nascondo di avere esitato a lungo prima di farlo, soprattutto per la scarsità di fonti alle quali attingere, il che rende sempre difficile maturare i contenuti da mettere in vetrina per realizzare un lavoro convincente. Tuttavia, la spinta decisiva mi è giunta proprio dalla scarsità di lavori di riferimento e dall’aver individuato una sorta di lacuna o di vuoto da iniziare a colmare.

Se non altro, questo mio libro potrebbe avere un merito, quello di segnalare un cambio di passo, uno snodo epocale, nel senso che da ora in poi parliamo di rosati partendo da quello che siamo riusciti a capire e dandoci degli obiettivi ed un metodo di lavoro per trasformare i rosati di Puglia in un racconto continuo.

Andando a ritroso nel tempo, quale bagaglio culturale ci portiamo dietro, ovvero in quale periodo storico affondano le radici dei rosati di Puglia?

La storia dei rosati di Puglia è lunga, anche se non molto conosciuta; quello che spesso può sfuggire è che la strada della modernità ai vini di Puglia l’hanno aperta i rosati e non i rossi. Noi siamo portati a pensare che i rossi di Puglia, ormai rinomati e apprezzatissimi, siano stati loro ad aprire il sipario della Puglia contemporanea sui mercati del vino. In realtà la storia ci racconta che sono stati i rosati a fare da apripista. L’alfiere della qualità in Puglia è stato inizialmente il rosato, poi trovatosi per tante ragioni ad essere messo un pò da parte. Per esempio, in Salento i rossi da negramaro del primo dopoguerra erano vini piuttosto rustici e tutt’altro che eleganti, tanto è vero che il classico negroamaro da osteria si chiamava “spaccabicchiere”, il che è tutto dire. Il rosato si chiamava invece lacrima ed era un prodotto elegante, raffinato, moderno, che si è fatto subito apprezzare all’estero, aprendo la strada all’esportazione dei nostri vini; non dimentichiamo che, già a partire dal 1943, gli americani sono rimasti affascinati dal negroamaro rosato.
E se parliamo di rosati non imbottigliati, allora abbiamo esperienze di rosati pugliesi esportati già a fine Ottocento, questa volta grazie alle produzioni della zona di Castel del Monte e di Capitanata; alcune aziende storiche pugliesi, come le cantine Pavoncelli, Rogadeo e Larochefoucalt hanno assunto all’epoca enologi francesi (che il rosato sapevano farlo bene), e dall’uva di troia e dal bombino nero hanno ottenuto rosati assolutamente innovativi, che hanno preso la via dell’impero austro-ungarico. Dunque, la storia del rosato pugliese si può dire che, in gran parte, si identifica con quella dei vini pugliesi moderni, perché i grandi rossi della nostra tradizione si sono sviluppati pienamente solo negli ultimi cinquant’anni.

Dunque cosa impedisce oggi ai rosati di Puglia di imporsi sul mercato?

Il rosato pugliese ha un problema di mercato nel senso che la sua presenza non è pari a quello che meriterebbe e potrebbe esprimere in un momento che possiamo ritenere estremamente favorevole per i rosati a livello mondiale. Occorre sottolineare che, mentre la Francia è il maggior produttore mondiale di rosati, l’Italia è, invece, il Paese primo esportatore, ma il prezzo medio delle bottiglie di rosato esportate premia la Francia e non lo Stivale. Per cui il nostro è un problema di comunicazione, di ricerca della qualità, di riscoperta di una tradizione che comincia in modo molto promettente e poi si affievolisce, magari perché abbiamo creduto di più nel vino rosso. Se è così, diciamo chiaramente che i rosati pugliesi devono ritrovare il ruolo di protagonisti, recuperando la loro forte valenza identitaria.

Quali sono i vitigni più indicati per la produzione dei rosati di Puglia, autoctoni o alloctoni?

I vitigni utilizzati per la produzione dei rosati pugliesi sono diversi; il lavoro che viene fatto sui vitigni internazionali è interessante, perchè mira a sperimentare ed esplorare nuovi orizzonti, ma il paradosso è che non è stato sondato in profondità il potenziale dei grandi vitigni autoctoni che abbiamo in un numero assolutamente impareggiabile rispetto a qualsiasi altra parte d’Italia, e forse anche del mondo. Solo il Sud della Francia ha molti vitigni per i rosati, ma non ha in una singola regione tutte queste preziose differenze che noi possiamo vantare. La Puglia è come un piccolo universo del rosato perché abbiamo i rosati salentini che valorizzano il negramaro con la malvasia nera di Brindisi o di Lecce, eventualmente anche con apporti di sussumaniello, sangiovese, montepulciano, ottavianello, poi si passa nel tarantino dove c’è una coesistenza di primitivo e negramaro. Salendo nella zona del Gioia del Colle, c’è il rosato Dop che ha una quota di primitivo, ma si trovano anche degli Igp che stanno esplorando una strada nuova, quella del taglio del primitivo con l’aglianico o con aleatico e non mancano altre proposte. Salendo ancora, oltre al bombino nero nella Docg Castel del Monte, abbiamo aglianico, uva di troia e montepulciano, che consentono di ottenere risultati di grande rilievo.

Nel suo libro si parla di strada dei rosati di Puglia, come nasce questa idea?

La Puglia si potrebbe visitarla solo girando da un rosato all’altro; la mia idea è quella di organizzare un tour di soli rosati, o almeno, che parta dai rosati, passando da un vitigno all’altro e creando una vera e propria via dei rosati di Puglia, che attraversa le vigne, le tradizioni gastronomiche, i paesaggi, le città, i borghi, i monumenti in maniera suggestiva.
In particolare, nel momento in cui il rosato incontra il paesaggio e la gastronomia diventa motivo di attrazione, è traccia come un filo rosa che percorre la Puglia e diventa il motivo di un viaggio.

I rosati pugliesi nel mondo. Quali prospettive vi sono?

Una Puglia che si propone, parla bene di sé e poi non si confronta con il resto del mondo rischia di essere autoreferenziale e quindi poco credibile. Allora ho dedicato un capitolo ai rosati delle altre regioni italiane e di altre nazioni. Se si allarga lo sguardo si scopre che ogni regione dello Stivale produce rosati; dopo aver citato almeno i più importanti, mi sono poi incamminato per la Francia, per altri Paesi europei e per diversi angoli del pianeta citando i rosati più interessanti e più belli.
Quindi questa diventa anche una proposta di metodo; se vogliamo crescere dobbiamo confrontarci con i rosati degli altri, non dobbiamo pensare che siamo i più bravi. Dobbiamo chiederci perché i rosati del sud della Francia sono così ricercati, hanno tutto questo “appeal”; avviene così solo perché i nostri cugini d’oltralpe sono bravi a comunicarli o c’è dell’altro? Francamente, credo che il loro segreto sia nella qualità che riescono ad ottenere e ancor più nel riuscire a dare ai loro prodotti una personalità, un’anima.
In Puglia quello che va evidenziato meglio, non solo a livello di tecnica enologica, ma anche sul piano della comunicazione e persino del “packaging” è proprio la differenza territoriale. O noi facciamo un rosato Puglia tutto uguale e non ci conviene perché perderemmo la nostra peculiarità oppure diciamo che il rosato Puglia è come una federazione di rosati, dove ogni rosato ha lil suo carattere e la sua specificità.

Concludiamo con una curiosità o un aneddoto intorno al rosato che le va di raccontarci

Nel libro c’è un capitoletto che si chiama “spigolature e curiosità”, che è una delle parti più simpatiche, almeno dal mio punto di vista, dove ho raccontato delle storie, alcune delle quali apparentemente minori però per me importantissime, in quanto legate a ricordi e a persone che hanno fatto molto per i rosati o hanno prodotto dei rosati unici, anche se semisconosciuti. Una delle storie che mi è piaciuto raccontare è stata quella delle bollicine pugliesi, anche in rosa, e l’ho fatto scherzosamente ripercorrendo quasi come una fiaba che sembrerebbe quella del brutto anatroccolo. Si è sempre detto che la Puglia, lo dicevano anche illustri esperti, non è mai stata e non sarà mai una terra di bollicine. Tutti in coro, tutti d’accordo, tutti convinti, perché fa caldo, perché non ci sono in vitigni giusti, perché manca il “know how”; poi, a un certo punto, arrivano tre bizzarri personaggi, i D’Araprì, e ci provano seriamente, e, man mano che ottengono i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, si scopre che non sono solo bravi loro, ma che probabilmente c’eravamo sbagliati tutti, sicché la Puglia sembra destinata a diventare nientepopodimeno che una grande terra di bollicine, anche in rosa.
E’ un racconto che vuole essere di buon auspicio, oltre che rendere omaggio a questi pionieri, che hanno dimostrato una cosa nella quale nessuno credeva. Le persone che cambiano il mondo non sono forse quelle che riescono a realizzare qualcosa che gli altri ritengono impossibile?

Giuseppe Baldassarre è medico, dirigente responsabile nella Unità Operativa Complessa di Geriatria dell`Ente Ecclesiatico Ospedale Regionale “F. Miulli” di Acquaviva delle Fonti. Specialista in Medicina Interna e in Farmacologia Clinica, si è perfezionato in Bioetica. È vice-Presidente della Sezione Apulo-Lucana della SIGOT (Società Italiana dei Geriatri Ospedalieri e Territoriali).
È autore di oltre 220 pubblicazioni scientifiche, tra cui alcuni volumi e numerosi articoli apparsi su riviste di livello internazionale. Dopo essersi diplomato sommelier nel 2001, ha conseguito l’abilitazione di degustatore ufficiale A.I.S. nel 2003, di relatore ufficiale nel 2004 e di commissario di esami nel 2006. Scrive per diverse riviste specializzate a diffusione nazionale e regionale. Dal 2008 è referente per il coordinamento degli eventi della Delegazione Murgia dell`A.I.S. Puglia. Da novembre 2010 è responsabile nazionale dell`Osservatorio su Vino e Salute dell`A.I.S. Da gennaio 2014 è referente regionale per la Puglia della Guida dei vini dell’A.I.S.

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