di Gianni De Gerolamo
Dalla merlotizzazione al ritorno delle antiche radici enologiche. Excursus tra fratelli maggiori e minori del panorama ampelografico pugliese.
Partiamo da noi, orgogliosi di come la riscoperta dei vitigni autoctoni pugliesi allontana il fantasma della omologazione al “gusto internazionale”, quello guidato dai vitigni bordolesi che hanno tentato di diffondere una moda, prospettando un panorama appiattito dal punto di vista gustativo.
Partiamo da noi, dalla valorizzazione delle nostre cultivar tipiche, non abbandonando quelle varietà minori, vitigni sacrificati per molto tempo sull’altare delle grandi produzioni, del solo interesse al guadagno e di ridotti rischi di produzione.
Partiamo da noi, dai continui riconoscimenti che le nostre eccellenze ottengono in tutto il mondo prodotte in bottiglia e non più viaggiando in cisterne, trasformazione raggiunta grazie al lavoro di produttori illuminati che hanno saputo rendere sublime la vinificazione di uve autoctone.
Autoctono o alloctono, questo è il problema!
Citando la normativa «si definisce autoctono un vitigno la cui presenza è rilevata in aree geografiche delimitate del territorio nazionale da almeno 50 anni» (d.lgs. 82/2006), riducendo la problematica esclusivamente al numero di anni. Dunque la stessa definizione nella sua forma defettiva, ci suggerisce di focalizzare l’attenzione verso una nuova filosofia di identificazione del vitigno, che proveremo a definire di “interesse regionale” o “regionale esclusivo” per andare ad identificare quelle varietà coltivate solo nel territorio regionale legate indissolubile al concetto di terroir ed a quella nostalgica volontà di ritorno al passato e alle tradizioni da cui è stato generato.
Partiamo da noi, raccontando quello che è passato attraverso la nostra terra. In Puglia la viticoltura ha una storia millenaria, al centro del Mediterraneo, nel pieno dei traffici e delle rotte commerciali, di mercati, porto di approdo e frutto di contaminazioni di diversi popoli, fenici, greci, romani.
Partiamo da noi, perché deteniamo un numero di vitigni pari alla metà di quelli presenti nel patrimonio ampelografico italiano. Primitivo, Negroamaro e Uva di Troia si possono considerare i “fratelli maggiori” costituendo il 95% delle basi delle DOC pugliesi insieme ad altre varietà come Bombino Nero e Malvasia nera.
Partiamo da noi, e dal celebrare le eccellenze delle nostre tipicità. Raccontiamo della tradizione dei Rosati: da Negroamaro e Malvasia Nera nel Salento, Bombino Nero nella zona di Castel del Monte.
Delle grandi sorprese che riservano i vitigni a bacca bianca come Verdeca, Pampanuto, Malvasia, Bombino Bianco, Bianco d’Alessano, Moscato e Moscatello selvatico.
Nonostante il clima delle nostre latitudini abbiamo scommesso sulle bollicine cominciando a far parlare della Puglia anche attraverso la spumantizzazione a metodo classico di un grande Bombino Bianco a cui oggi si aggiungono le ultime tendenze di produzione di vini base da vitigni rossi come Negroamaro o Primitivo, il nostro Blanc de Noir.
Partiamo da noi, dai vini dolci, questa volta complice un microclima favorevole, che costituiscono ormai una tradizione di grande interesse e crescente successo di mercato. Uve da vendemmie tardive come Moscato, Aleatico, Primitivo, Malvasia Bianca, ovvero l’elogio alla lentezza, portano a desiderare di socchiudere gli occhi dando un tempo diverso alla vita, capaci di emozioni intense.
Partiamo da noi, e dal grande lavoro che importanti istituti di ricerca presenti sul nostro territorio stanno compiendo nel recuperare documentazioni e testimonianze per reintrodurre vitigni minori. Cultivar quasi scomparse, che attraverso una attenta analisi ed un lungo protocollo giungono alla iscrizione Catalogo Nazionale delle Varietà, condizione indispensabile, alla luce della normativa comunitaria e nazionale, per la coltivazione sull’intero territorio italiano e ancor più per l’indicazione del nome in etichetta, consentendogli così di passare da testimoni del passato a protagonisti del futuro.
E’ proprio dalla micro vinificazione che sono state scoperte le propensioni enologiche di varietà minori come il Minutolo (o Fiano della Valle d’Itria) dotato di una spiccata aromaticità; mentre grandi aspettative si prospettano per il Marchione e per il Maresco, vitigni originari della Valle d’Itria capaci di produrre ottimi vini base per spumanti, caratterizzati dalla spiccata acidità dei mosti decisamente rara nel meridione.
Nuove tecniche di vinificazione potrebbero riservare delle sorprese per altri vitigni dalla grandi potenzialità riscoperto di recente, l’Antinello dal colore giallo paglierino chiaro, profumi leggeri e lievemente aromatici e una contenuta corposità; come pure il Somarello Rosso, diverso dal Susumaniello, dalla spiccata componente colorante. Ma ancora uve minori come Tuccimaniello (Susumaniello), Tuccanese, Notardomenico, Ottavianello (Cinsault francese), Francavidda e Impigno.
Recente è l’iscrizione a Catalogo del Maresco (in realtà è il Maruggio che nel Catalogo non può possedere il nome di un paese), mentre nei prossimi anni altre varietà minori seguiranno la stessa strada a cominciare dai vitigni bianchi come Santa Teresa, Uva della Scala, Minutolo Rosa, per il momento in fase di confronto/omologazione ai fini di una completa caratterizzazione morfologica, genetica ed enologica.
Partiamo da noi, da quei giacimenti e risorse che non si esauriscono ma che addirittura si rigenerano, che fanno parte della nostra terra, della sua energia, dei colori e dei suoi paesaggi. Comunichiamo con orgoglio i primati che abbiamo, le importanti produzioni enogastronomiche. Comunichiamo!
Forse è questo il problema, riuscire a comunicare con efficacia le nostre eccellenze.
Partiamo da noi, perché abbiamo tanto da raccontare tanto in campo enologico quanto nella filiera agroalimentare affinché le nostre eccellenze possano trasformarsi in destinazioni turistiche, trasmettendo insieme al prodotto, il territorio e la sua cultura.