“Negroamaro” può essere tradotto in “nero nero”, per indicare probabilmente l’eccezionale pigmentazione delle uve e dunque dei vini, o anche “nero e amaro”, chiaro riferimento all’abbondante indice tanninico della varietà.
Nero e amaro, ma non certo di serie B. Tutt’altro: il Negramaro si aggiudica infatti senza problemi il titolo di varietà autoctona di uva più amata di Puglia. E più coltivata: iscritta infatti dal 1970 al Catalogo Nazionale delle Varietà di Vite con codice n. 163, è la più diffusa sul territorio regionale con oltre 18.750 ettari, pari al 99,9% dell’intera superficie nazionale. Un primato che non è solo di quantitativo, ma anche di geografia: tradizionalmente apprezzato nel Salento, che comprende le province di Lecce, Brindisi e Taranto, il vitigno in questione si è di recente “allungato” anche nel resto del territorio pugliese, utilizzato com’è soprattutto per produrre vini ad IGT, mentre al di fuori dei confini regionali risulta coltivato in altre otto regioni per poco più di 18 ettari (pari allo 0,11% della superficie nazionale).
Dal punto di vista etimologico il nome “Negroamaro” può essere tradotto in “nero nero”, concetto rafforzato per indicare probabilmente l’eccezionale pigmentazione delle uve e dunque dei vini, o anche “nero e amaro”, chiaro riferimento all’abbondante indice tanninico della varietà. Storicamente sono stati citati e associati al vitigno almeno 13 diversi nomi: Abruzzese, Albese, Albese nero, Arbese/Orbese, Jonico, Negro Amaro, Negramaro, Negroamaro, Vernaccia, Lacrima, Lagrima, Purcinara, Uva olivella. A questi se ne aggiungono altri (Mangiaverde, Nero Leccese, Nicra amaro, Niuru maru, Negro Minitillo), variamente riportati in articoli e pubblicazioni recenti; tra viticoltori, vivaisti, produttori, commercianti, venditori e amanti del vino di Puglia i termini Negro Amaro, Negramaro, Negroamaro e Nero Amaro sono comunemente utilizzati come sinonimi.
Come varietà principale impiegata nella costruzione di vini “composti” il Negramaro rientra nei disciplinari di produzione di 14 vini DOC (per complessive 52 tipologie) e 5 IGT (15 tipologie) regionali, ed in almeno 3 diverse DOC (Galatina, Leverano e Lizzano), anche se esistono tipologie specifiche monovarietali. Da un punto di vista strettamente enologico e commerciale il Negramaro, in connubio con la Malvasia nera di Brindisi e Lecce -recentemente rivelatasi peraltro un incrocio naturale tra Negramaro e Malvasia bianca lunga – contrassegna infatti tutti i principali vini rossi salentini. Il successo del vitigno è però collegato soprattutto ai rosati salentini; quelli a base di Negramaro, oltre ad essere tra i pochi prodotti da vitigni autoctoni in Italia, sono certamente tra i più antichi: durante la Seconda guerra mondiale, nel feudo “Cinque Rose” di Salice Salentino (provincia di Lecce), nacque infatti ad opera della Cantina Leone de Castris il “Five Roses”, primo vino rosato imbottigliato e commercializzato in Italia.
Dal punto di vista organolettico, gustativo e olfattivo ci sono notevoli differenze fra i vini a base Negramaro provenienti dalle diverse zone del Salento. In base alla comparazioni fra vini prodotti nella stessa annata, e provenienti da diverse aree di produzione, possiamo dire in via generale che i vini ricadenti nelle Doc Squinzano e Brindisi (zona Adriatica) sono più strutturati e acidi; quelli della Doc Salice Salentino (zona Centrale) più equilibrati e fini; quelli della Doc Copertino (zona Ionica), con una vena aranciata più spiccata e più fini all’olfatto. La produzione di vini diversi sia nell’aspetto visivo che gusto-olfattivo lascia intravvedere comunque una variabilità di biotipi legata, oltre che all’andamento stagionale, alle dimensioni dell’acino e del grappolo e al tasso polifenolico varietale; ciò conferma dunque l’estrema ricchezza di vini diversi e capaci di esprimere le diverse sfumature dei vari terroir salentini e pugliesi.